LE VITE
DE' PIÚ ECCELLENTI ARCHITETTI,
PITTORI, ET SCULTORI ITALIANI,
DA CIMABUE
INSINO A' TEMPI NOSTRI
ALLO ILLUSTRISSIMO
ET ECCELLENTISSIMO SIGNORE
IL SIGNOR COSIMO DE' MEDICI
DUCA DI FIORENZA
Signore mio osservandissimo
Poi che la Eccellenzia Vostra, seguendo in ciò l'orme de gli illustrissimi suoi progenitori e da la naturale magnanimità sua incitata e spinta, non cessa di favorire e d'esaltare ogni sorte di virtú dovunque ella si truovi, et ha spezialmente protezzione de l'arti del disegno, inclinazione a gli artefici d'esse, cognizione e diletto delle belle e rare opere loro, penso che non le sarà se non grata questa fatica presa da me di scriver le vite, i lavori, le maniere e le condizioni di tutti quelli che, essendo già spente, l'hanno primieramente risuscitate, di poi di tempo in tempo accresciute, ornate e condotte finalmente a quel grado di bellezza e di maestà dove elle si truovano a' giorni d'oggi. E percioché questi tali sono stati quasi tutti Toscani e la piú parte suoi Fiorentini e molti d'essi da gli illustrissimi antichi suoi con ogni sorte di premii e di onori incitati et aiutati a mettere in opera, si può dire che nel suo stato, anzi nella sua felicissima casa siano rinate, e per benefizio de' suoi | medesimi, abbia il mondo queste bellissime arti ricuperate e che per esse nobilitato e rimbellito si sia. Onde, per l'obligo che questo secolo, queste arti e questa sorte d'artefici debbono comunemente a gli suoi et a lei come erede della virtú loro e del lor patrocinio verso queste professioni e per quello che le debbo io particularmente per avere imparato da loro, per esserle suddito, per esserle devoto, perché mi sono allevato sotto Ippolito Cardinale de' Medici e sotto Alessandro suo antecessore, e perché sono infinitamente tenuto alle felici ossa del Magnifico Ottaviano de' Medici, dal quale io fui sostentato, amato e difeso mentre che e' visse, per tutte queste cose dico, e perché da la grandezza del valore e della fortuna sua verrà molto di favore a quest'opera e da l'intelligenza ch'ella tiene del suo soggetto meglio che da nessuno altro sarà considerata l'utilità di essa e la fatica e la diligenza fatta da me per condurla, mi è parso che a l'Eccellenzia Vostra solamente si convenga di dedicarla, e sotto l'onoratissimo nome suo ho voluto che ella pervenga a le mani degli uomini. Degnisi adunque l'Eccellenzia Vostra d'accettarla, di favorirla e, se da l'altezza de' suoi pensieri le sarà concesso, talvolta di leggerla, riguardando a la qualità delle cose che vi si trattano et a la pura mia intenzione; la quale è stata non di procacciarmi lode come scrittore, ma come artefice di lodar l'industria et avvivar la memoria di quegli che, avendo dato vita et ornamento a queste professioni, non meritano che i nomi e l'opere loro siano in tutto, cosí come erano, im preda della morte e della oblivione. Oltra che in un tempo medesimo, con l'esempio di tanti valenti uomini e con tan|te notizie di tante cose che da me sono state raccolte in questo libro, ho pensato di giovar non poco a' professori di questi esercizii e di dilettare tutti gli altri che ne hanno gusto e vaghezza. Il che mi sono ingegnato di fare con quella accuratezza e con quella fede che si ricerca alla verità della storia e delle cose che si scrivono. Ma se la scrittura, per essere incolta e cosí naturale com'io favello, non è degna de lo orecchio di Vostra Eccellenzia né de' meriti di tanti chiarissimi ingegni, scusimi, quanto a loro, che la penna d'un disegnatore, come furono essi ancora, non ha piú forza di linearli e d'ombreggiarli e, quanto a lei, mi basti che ella si degni di gradire la mia semplice fatica, considerando che la necessità di procacciarmi i bisogni de la vita non mi ha concesso che io mi eserciti con altro mai che co'l pennello. Né anche con questo son giunto a quel termine, a 'l quale io mi imagino di potere aggiugnere ora che la fortuna mi promette pur tanto di favore, che con piú comodità e con piú lode mia e piú satisfazione altrui potrò forse cosí col pennello come anco con la penna spiegare al mondo i concetti miei qualunque si siano. Percioché oltra lo aiuto e la protezzione che io debbo sperar da l'Eccellenzia Vostra, come da mio signore e come da fautore de' poveri virtuosi, è piaciuto alla divina bontà d'eleggere per suo vicario in terra il santissimo e beatissimo Iulio III Pontefice Massimo, amatore e riconoscitore d'ogni sorte virtú e di queste eccellentissime e difficilissime arti spezialmente. Da la cui somma liberalità attendo ristoro di molti anni consumati e di molte fatiche sparte fino a ora senza alcun frutto. | E non pur io, che mi son dedicato per servo perpetuo a la Santità Sua, ma tutti gl'ingegnosi artefici di questa età ne debbono aspettare onore e premio tale et occasione d'esercitarsi talmente, che io già mi rallegro di vedere queste arti arrivate nel suo tempo al supremo grado della lor perfezzione e Roma ornata di tanti e sí nobili artefici, che annoverandoli con quelli di Fiorenza che tutto giorno fa mettere in opera l'Eccellenzia Vostra, spero che chi verrà doppo noi arà da scrivere la quarta età del mio volume, dotato d'altri maestri, d'altri magisterii che non sono i descritti da me, nella compagnia de' quali io mi vo preparando con ogni studio di non esser degli ultimi.
Intanto mi contento che ella abbia buona speranza di me e migliore opinione di quella che senza alcuna mia colpa n'ha forse conceputa; desiderando che ella non mi lasci opprimere nel suo concetto dell'altrui maligne relazioni fino a tanto che la vita e l'opere mie mostreranno il contrario di quello che e' dicono.
Ora con quello animo che io tengo d'onorarla e di servirla sempre dedicandole questa mia rozza fatica, come ogni altra mia cosa, e me medesimo l'ho dedicato, la supplico che non si sdegni di averne la protezzione o di mirar almeno a la devozione di chi gliela porge; et alla sua buona grazia raccomandandomi, umilissimamente le bacio le mani.
Di Vostra Eccellenzia umilissimo servitore
GIORGIO VASARI, Pittore Aretino.
Solevano gli spiriti egregii in tutte le azzioni loro, per uno acceso desiderio di gloria, non perdonare ad alcuna fatica, quantunche gravissima, per condurre le opere loro a quella perfezzione che le rendesse stupende e maravigliose a tutto il mondo; né la bassa fortuna di molti poteva ritardare i loro sforzi del pervenire a' sommi gradi, sí per vivere onorati e sí per lasciare ne' tempi avenire eterna fama d'ogni rara loro eccellenza. Et ancora che di cosí laudabile studio e desiderio fussero in vita altamente premiati dalla liberalità de' principi e dalla virtuosa ambizione delle republiche, e dopo morte ancora perpetuati nel conspetto del mondo con le testimonianze delle statue, delle sepulture, delle medaglie et altre memorie simili, la voracità del tempo nondimeno si vede manifestamente che non solo ha scemate le opere proprie e le altrui onorate testimonanze di una gran parte, ma cancellato e spento i nomi di tutti quelli che ci sono stati serbati da qualunque altra cosa che dalle sole vivacissime e pietosissime penne delli scrittori. La qual cosa piú volte meco stesso considerando e conoscendo, non solo con l'esempio degli antichi, ma de' moderni ancora, che i nomi di moltissimi vecchi e moderni architetti, scultori e pittori insieme con infinite bellissime opere loro in diverse parti di Italia si vanno dimenticando e consumando a poco a poco e di una maniera, per il vero, che ei non se ne può giudicare altro che una certa morte molto vicina, per difenderli il piú che io | posso da questa seconda morte, e mantenergli piú lungamente che sia possibile nelle memorie de' vivi, avendo speso moltissimo tempo in cercar quelle, usato diligenzia grandissima in ritrovare la patria, l'origine e le azzioni degli artefici e con fatica grande ritrattole dalle relazioni di molti uomini vecchi e da diversi ricordi e scritti lasciati dagli eredi di quelli in preda della polvere e cibo de' tarli, e ricevutone finalmente et utile e piacere, ho giudicato conveniente, anzi debito mio, farne quella memoria che per il mio debole ingegno e per il poco giudizio si potrà fare. Ad onore dunque di coloro che già sono morti, e beneficio di tutti gli studiosi, principalmente di queste tre arti eccellentissime architettura, scultura e pittura, scriverrò le vite delli artefici di ciascuna, secondo i tempi che ei sono stati, di mano in mano da Cimabue insino ad oggi; non toccando altro degli antichi se non quanto facessi al proposito nostro, per non se ne poter dire piú che se ne abbino detto quei tanti scrittori che sono pervenuti alla età nostra. Tratterò bene di molte cose che si appartengono al magistero di qual si è l'una delle arti dette; ma prima che io venga a' segreti di quelle o alla istoria delli artefici, mi par giusto toccare in parte una disputa, nata e nutrita tra molti senza proposito, del principato e nobilità, non della architettura, che questa hanno lasciata da parte, ma della scultura e della pittura, essendo per l'una e l'altra parte addotte, se non tutte almeno molte ragioni degne di essere udite e per gli artefici loro considerate. Dico dunque che gli scultori, come dotati forse dalla natura e dallo esercizio dell'arte di migliore complessione, di piú sangue e di piú forze e per questo piú arditi et animosi de' nostri pittori, cercando di attribuire il piú onorato grado alla arte loro, arguiscono e | provano la nobilità della scultura primieramente dalla antichità sua, per aver il grande Iddio fatto lo uomo, che fu la prima scoltura, dicono che la scultura abbraccia molte piú arti come congeneri e ne ha molte piú sottoposte che la pittura, come il basso rilievo, il far di terra, di cera o di stucco, di legno, d'avorio, il gettare de' metalli, ogni ceselamento, il lavorare di incavo o di rilievo nelle pietre fini e negli acciai, et altre molte, le quali e di numero e di maestria avanzano quelle della pittura; et allegando ancora che quelle cose che si difendono piú e meglio dal tempo e piú si conservano all'uso degli uomini, a beneficio e servizio de' quali elle son fatte, sono senza dubbio piú utili e piú degne d'esser tenute care et onorate che non sono l'altre, affermano la scultura essere tanto piú nobile della pittura, quanto ella è piú atta a conservare e sé et il nome di chi è celebrato da lei ne' marmi e ne' bronzi contro a tutte le ingiurie del tempo e della aria, che non è essa pittura, la quale di sua natura pure, non che per gli accidenti di fuora, perisce nelle piú riposte e piú sicure stanze che abbino saputo dar loro gli architettori. Vogliano eziandio che il minor numero loro, non solo degli artefici eccellenti, ma degli ordinari, rispetto allo infinito numero de' pittori, arguisca la loro maggiore nobilità, dicendo che la scultura vuole una certa migliore disposizione e di animo e di corpo, il che rado si truova congiunto insieme; dove la pittura si contenta d'ogni debole complessione purché abbia la man sicura se non gagliarda; e che questo intendimento loro si pruova similmente da' maggior pregi citati particularmente da Plinio, da gli amori causati dalla maravigliosa bellezza di alcune statue e dal giudizio di colui che fece la statua della scultura di oro e quella della pittura d'argento e pose quella alla de|stra e questa alla sinistra. Né lasciano ancora di allegare le difficultà: prima dell'aver la materia subbietta come i marmi et i metalli e la valuta loro rispetto alla facilità dell'avere le tavole, le tele et i colori a piccolissimi pregi et in ogni luogo; di poi le estreme e gravi fatiche del maneggiare i marmi et i bronzi per la gravezza loro e del lavorargli per quella de gli strumenti, rispetto alla leggerezza de' pennegli, degli stili e delle penne, disegnatoi e carboni, oltra che di loro si affatica lo animo con tutte le parti del corpo; et è cosa gravissima rispetto alla quieta e leggére opera dello animo e della mano sola del dipintore. Fanno appresso grandissimo fondamento sopra lo essere le cose tanto piú nobili e piú perfette, quanto elle si accostano piú al vero e dicono che la scultura imita la forma vera e mostra le sue cose girandole intorno a tutte le vedute, dove la pittura, per essere spianata con semplicissimi lineamenti di pennello e non avere che un lume solo, non mostra che una apparenza sola. Né hanno rispetto a dire molti di loro che la scultura è tanto superiore alla pittura quanto il vero alla bugia. Ma per la ultima e piú forte ragione adducono che allo scultore è necessario non solamente la perfezzione del giudizio ordinaria, come al pittore, ma assoluta e subita, di maniera che ella conosca sin dentro a' marmi l'intero appunto di quella figura che essi intendono di cavarne, e possa senza altro modello prima fare molte parti perfette, che e' le accompagni et unisca insieme, come ha fatto divinamente già Michelagnolo. Avvenga che mancando di questa felicità di giudizio, fanno agevolmente e spesso di quelli inconvenienti che non hanno rimedio, e che fatti, son sempre testimonii degli errori dello scarpello o del poco giudizio dello scultore. La qual cosa non avviene a' pittori: percioché ad ogni erro|re di pennello o mancamento di giudizio che venisse lor fatto, hanno tempo, conoscendoli da per loro o avertiti da altri possono ricoprirli e medicarli con il medesimo pennello che lo aveva fatto, il quale, nelle man loro, ha questo vantaggio da gli scarpelli dello scultore: che egli non solo sana, come faceva il ferro della lancia di Achille, ma lascia senza margine le sue ferite.
Alle quali cose rispondendo i pittori non senza sdegno, dicono primieramente che, volendo gli scultori considerare la cosa in sagrestia, la prima nobilità è la loro, e che gli scultori si ingannano di gran lunga a chiamare opera loro la statua del primo padre, essendo stata fatta di terra, l'arte della quale operazione mediante il suo levare e porre non è manco de' pittori che di altri, e fu chiamata plastice da' Greci e fictoria da' Latini, e da Prassitele fu giudicata madre della scultura, del getto e del cesello; cosa che fa la scultura veramente nipote alla pittura, con ciò sia che la plastice e la pittura naschino insieme e subito dal disegno. Et esaminata fuori di sagrestia, dicono che tante sono e sí varie le opinioni de' tempi, che male si può credere piú all'una che all'altra, e che considerato finalmente questa nobilità dove e' vogliono, nell'uno de' luoghi perdono e nell'altro non vincono, sí come nel Proemio delle Vite piú chiaramente potrà vedersi. Appresso per riscontro delle arti congeneri e sottoposte alla scultura, dicono averne molte piú di loro, come che la pittura abbracci la invenzione della istoria, la difficilissima arte degli scorti, tutti i corpi della architettura per poter fare i casamenti e la prospettiva, il colorire a tempera, l'arte del lavorare in fresco, differente e vario da tutti gli altri, similmente il lavorare a olio, in legno, in pietra, in tele et il miniare, arte differente da tutte, le finestre di vetro, il musaico de' vetri, il | commetter le tarsie di colori faccendone istorie con i legni tinti, che è pittura, lo sgraffire le case con il ferro, il niello e le stampe di rame, membri della pittura, gli smalti de gli orefici, il commetter l'oro alla damaschina, il dipigner le figure invetriate e fare ne' vasi di terra istorie et altre figure che reggono alla acqua, il tessere i broccati con le figure e' fiori e la bellissima invenzione degli arazzi tessuti, che fa commodità e grandezza, potendo portar la pittura in ogni luogo e salvatico e domestico, senza che in ogni genere che bisogna essercitarsi, il disegno, che è disegno nostro, lo adopra ognuno. Sí che molti piú membri ha la pittura e piú utili, che non ha la scultura. Non niegano la etternità poi, che cosí la chiamano, delle sculture. Ben dicono questo non esser privilegio che faccia l'arte piú nobile che ella si sia di sua natura, per essere semplicemente della materia; e che se la lunghezza della vita desse alle anime nobilità, il pino tra le piante et il cervio tra gli animali arebbon la anima oltramodo piú nobile che non ha l'uomo. Nonostante che ei potessino addurre una simile etternità e nobiltà di materia ne' musaici loro, per vedersene delli antichissimi quanto le piú antiche sculture che siano in Roma, et essendosi usato di farli di gioie e pietre fini. E quanto al piccolo o minor numero loro, affermano che ciò non è perché la arte ricerchi miglior disposizione di corpo et il giudizio maggiore, ma che ei depende in tutto da la povertà delle sustanzie loro e dal poco favore o avarizia, che vogliamo chiamarlo, de gli uomini ricchi, i quali non fanno loro commodità de' marmi o danno occasione di lavorare, come si può credere e vedesi che si fece ne' tempi antichi, quando la scultura venne al sommo grado. Et è manifesto che chi non può consumare o gittar via non piccola quantità di marmi e pietre forti, le | quali costano pure assai, non può fare quella pratica nella arte che si conviene, chi non vi fa la pratica non la impara e chi non la impara non può fare bene. Per la qual cosa doverrebono escusare piú tosto con queste cagioni la imperfezzione et il poco numero degli eccellenti che cercare di trarre da esse sotto uno altro colore la nobiltà. Quanto a' maggior pregi delle sculture, rispondono che, quando i loro fussino bene minori, non hanno a compartirli, contentandosi di un putto che macini loro i colori e porga i pennelli o le predelle di poca spesa, dove gli scultori, oltre alla valuta grande della materia, vogliono di molti aiuti e mettono piú tempo in una sola figura, che non fanno essi in molte e molte; per il che appariscano i pregi loro essere piú della qualità e durazione di essa materia, delli aiuti che ella vuole a condursi e del tempo che vi si mette a lavorarla, che della eccellenzia della arte stessa. E quando questa non serva né si truovi prezzo maggiore, come sarebbe facil cosa a chi volessi diligentemente considerarla, truovino un prezzo maggiore del maraviglioso, bello e vivo dono, che alla virtuosissima et eccellentissima opera di Apelle fece Alessandro il Magno donandoli non tesori grandissimi o stato, ma la sua amata e bellissima Campsaspe; et avvertischino di piú, che Alessandro era giovane, innamorato di lei e naturalmente a gli affetti di Venere sottoposto, e re insieme e greco, e poi ne faccino quel giudizio che piace loro. Agli amori di Pigmalione e di quelli altri scelerati non degni piú d'essere uomini, citati per pruova della nobilità della arte, non sanno che si rispondere se da una grandissima cecità di mente e da una sopra ogni natural modo sfrenata libidine si può fare argumento di nobiltà. E di quel non so chi allegato dagli scultori d'aver fatto la scultura d'oro e la pittura di argento, come di sopra, con|sentono che, se egli avessi dato tanto segno di giudizioso quanto di ricco, non sarebbe da disputarla. E concludono finalmente che lo antico vello dello oro, per celebrato che e' sia, non vestí però altro che un montone senza intelletto; per il che né il testimonio delle ricchezze né quello delle voglie disoneste ma delle lettere, dello esercizio, della bontà e del giudizio son quelli a chi si debbe attendere. Né rispondono altro alla dificultà dello avere i marmi et i metalli, se non che questo nasce da la povertà propria e dal poco favore de' potenti, come si è detto, e non da grado di maggiore nobilità. Alle estreme fatiche del corpo et a' pericoli proprii e delle opere loro, ridendo e senza alcun disagio rispondono che se le fatiche et i pericoli maggiori arguiscono maggiore nobilità, l'arte del cavare i marmi de le viscere de' monti, per adoperare i conii, i pali e le mazze, sarà piú nobile della scultura, quella del fabbro avanzerà lo orefice e quella del murare la architettura. E dicono appresso che le vere difficultà stanno piú nello animo che nel corpo, onde quelle cose che di lor natura hanno bisogno di studio e di sapere maggiore, son piú nobili et eccellenti di quelle che piú si servono della forza del corpo; e che valendosi i pittori della virtú dell'animo piú di loro, questo primo onore si appartiene alla pittura. Agli scultori bastano le seste o le squadre a ritrovare e riportare tutte le proporzioni e misure che egli hanno di bisogno; a' pittori è necessario, oltre al sapere bene adoperare i sopradetti strumenti, una accurata cognizione di prospettiva, per avere a porre mille altre cose che paesi o casamenti; oltra che bisogna aver maggior giudicio per la quantità delle figure in una storia dove può nascer piú errori che in una sola statua. Allo scultore basta aver notizia delle vere forme e fattezze de' corpi solidi e palpabili e sottoposti in tutto al tatto | e di quei soli ancora che hanno chi gli regge; al pittore è necessario non solo conoscere le forme di tutti i corpi retti e non retti, ma di tutti i trasparenti et impalpabili; et oltra questo bisogna ch'e' sappino i colori che si convengono a' detti corpi, la moltitudine e la varietà de' quali, quanto ella sia universalmente e proceda quasi in infinito, lo dimostrano meglio che altro i fiori et i frutti oltre a' minerali; cognizione sommamente difficile ad acquistarsi et a mantenersi per la infinita varietà loro. Dicono ancora che dove la scultura per la inobbedienzia et imperfezzione della materia non rappresenta gli affetti dello animo se non con il moto, il quale non si stende però molto in lei, e con la fazione stessa de' membri, né anche tutti i pittori gli dimostrano con tutti i moti, che sono infiniti, con la fazione di tutte le membra per sottilissime che elle siano, ma che piú? con il fiato stesso e con gli spiriti della vista. E che a maggiore perfezzione del dimostrare non solamente le passioni e gli affetti dello animo, ma ancora gli accidenti a venire, come fanno i naturali, oltre alla lunga pratica della arte bisogna loro avere una intera cognizione di essa fisionomia, della quale basta solo allo scultore la parte che considera la quantità e forma de' membri, senza curarsi della qualità de' colori, la cognizion de' quali, chi giudica dagli occhi conosce quanto ella sia utile e necessaria alla vera imitazione della natura, alla quale chi piú si accosta è piú perfetto. Appresso soggiungono che dove la scultura, levando a poco a poco, in un medesimo tempo dà fondo et acquista rilievo a quelle cose che hanno corpo di lor natura, e servesi del tatto e del vedere, i pittori in due tempi danno rilievo e fondo al piano con lo aiuto di un senso solo; la qual cosa quando ella è stata fatta da persona intelligente della arte, con piacevolissimo inganno ha fatto | rimanere molti grandi uomini, per non dire degli animali; il che non si è mai veduto della scultura, per non imitare la natura in quella maniera che si possa dire tanto perfetta quanto è la loro. E finalmente, per rispondere a quella intera et assoluta perfezzione di giudizio che si richiede alla scultura, per non aver modo di aggiugnere dove ella leva, affermando prima che tali errori sono, come ei dicano, incorrigibili, né si può rimediare loro senza le toppe, le quali, cosí come ne' panni son cose da poveri di roba, nelle sculture e nelle pitture similmente son cose da poveri di ingegno e di giudizio. Di poi che la pazienzia con un tempo conveniente, mediante i modelli, le centine, le squadre, le seste et altri mille ingegni e strumenti da riportare, non solamente gli difendano dagli errori, ma fanno condur loro il tutto alla sua perfezzione, concludono che questa difficultà che ei mettano per la maggiore, è nulla o poco rispetto a quelle che hanno i pittori nel lavorare in fresco; e che la detta perfezzione di giudizio non è punto piú necessaria alli scultori che a' pittori, bastando a quelli condurre i modelli buoni di cera, di terra o d'altro, come a questi i loro disegni in simili materie pure o ne' cartoni; e che finalmente quella parte che riduce a poco a poco loro i modelli ne' marmi, è piú tosto pazienzia che altro. Ma chiamisi giudizio, come vogliono gli scultori, se egli è piú necessario a chi lavora in fresco che a chi scarpella ne' marmi. Percioché in quello non solamente non ha luogo né la pazienzia né il tempo per essere capitalissimi nimici della unione della calcina e de' colori, ma perché l'occhio non vede i colori veri insino a che la calcina non è ben secca, né la mano vi può avere giudizio d'altro che del molle o secco; di maniera che chi lo dicessi lavorare al buio o con occhiali di colori diversi dal vero, non credo che | errasse di molto; anzi non dubito punto che tal nome non se li convenga piú che al lavoro d'incavo, al quale per occhiali, ma giusti e buoni, serve la cera. E dicono che a questo lavoro è necessario avere un giudizio risoluto, che antivegga la fine nel molle e quale egli abbia a tornar poi secco. Oltra che non si può abbandonare il lavoro, mentre che la calcina tiene de 'l fresco, e bisogna resolutamente fare in un giorno quello che fa la scultura in un mese. E chi non ha questo giudizio e questa eccellenzia, si vede nella fine del lavoro suo o co 'l tempo le toppe, le macchie, i rimessi et i colori soprapposti o ritocchi a secco, che è cosa vilissima; perché vi si scuoprono poi le muffe e fanno conoscere la insufficienzia et il poco sapere dello artefice suo, sí come fanno bruttezza i pezzi rimessi nella scultura. Soggiungono ancora che dove gli scultori fanno insieme due o tre figure al piú d'un marmo solo, essi ne fanno molte in una tavola sola, con quelle tante e sí varie vedute che coloro dicono che ha una statua sola, ricompensando con la varietà delle positure, scorci et attitudini loro il potersi vedere intorno intorno quelle degli scultori. Affermano oltra di ciò che la pittura non lascia elemento alcuno che non sia ornato e ripieno di tutte le eccellenzie che la natura ha dato loro; dando la sua luce o le sue tenebre alla aria, con tutte le sue varietà et impressioni et empiendola insieme di tutte le sorti degli ucelli; alle acque la trasparenza, i pesci, i muschi, le schiume, il variare delle onde, le navi e l'altre sue passioni; alla terra i monti, i piani, le piante, i frutti, i fiori, gli animali, gli edifizii, con tanta moltitudine di cose e varietà delle forme loro e de' veri colori, che la natura stessa molte volte n'ha maraviglia; e dando finalmente al fuoco tanto di caldo e di luce, che e' si vede manifestamente ardere le cose e quasi | tremolando nelle sue fiamme, rendere in parte luminose le piú oscure tenebre della notte. Per le quali cose par loro potere giustamente conchiudere e dire che, contraposto le difficultà degli scultori alle loro, le fatiche del corpo alle fatiche dello animo, la imitazione circa la forma sola alla imitazione della apparenzia circa la quantità e la qualità che viene a lo occhio, il poco numero delle cose dove la scultura può dimostrare e dimostra la virtú sua allo infinito di quelle che la pittura ci rappresenta, oltra il conservarle perfettamente allo intelletto e farne parte in que' luoghi che la natura non ha fatto ella, e contrapesato finalmente le cose dell'una alle cose dell'altra, la nobiltà della scultura quanto a lo ingegno, a la invenzione et a 'l giudizio degli artefici suoi, non corrisponde a gran pezzo a quella che ha e merita la pittura. E questo è quello che per l'una e per l'altra parte mi è venuto a gli orecchi degno di considerazione.
Ma perché a me pare che gli scultori abbino parlato con troppo ardire et i pittori con troppo sdegno, per avere io assai tempo considerato le cose della scultura et essermi esercitato sempre nella pittura, quantunche piccolo sia forse il frutto che se ne vede, nondimeno, e per quel tanto che egli è e per la impresa di questi scritti giudicando mio debito dimostrare il giudizio che nello animo mio ne ho fatto sempre, e vaglia la autorità mia quanto ella può, dirò sopra tal disputa sicuramente e brevemente il parer mio; persuadendomi di non sottentrare a carico alcuno di prosunzione o di ignoranzia, non trattando io de l'arti altrui, come hanno già fatto molti per apparire nel vulgo intelligenti di tutte le cose mediante le lettere, e come tra gli altri avvenne a Formione peripatetico in Efeso che, ad ostentazione della eloquenzia sua predicando e disputando de le virtú e | parti dello eccellente capitano, non meno de la prosunzione che de la ignoranzia sua fece ridere Annibale. Dico adunque che la scultura e la pittura per il vero sono sorelle, nate di un padre, che è il disegno, in un sol parto et ad un tempo; e non precedono l'una alla altra se non quanto la virtú e la forza di coloro che le portano addosso fa passare l'uno artefice innanzi a l'altro, e non per differenzia o grado di nobiltà che veramente si truovi infra di loro. E se bene per la diversità della essenzia loro hanno molte agevolezze, non sono elleno però né tante, né di maniera che elle non venghino giustamente contrapesate insieme, e non si conosca la passione o la caparbietà piú tosto che il giudizio di chi vuole che l'una avanzi l'altra. Laonde a ragione si può dire che una anima medesima regga due corpi; et io per questo conchiudo che male fanno coloro che si ingegnano di disunirle e di separarle l'una da l'altra. De la qual cosa volendoci forse sgannare il cielo e mostrarci la fratellanza e la unione di queste due nobilissime arti, ha in diversi tempi fattoci nascere molti scultori che hanno dipinto, e molti pittori che hanno fatto de le sculture; come si vedrà nella vita di Antonio del Pollaiuolo, di Lionardo da Vinci e di molti altri di già passati. Ma nella nostra età ci ha prodotto la bontà divina Michelagnolo Buonarroti, nel quale amendue queste arti sí perfette rilucono e sí simili et unite insieme appariscono, che i pittori de le sue pitture stupiscono e gli scultori le sculture fatte da lui ammirano e reveriscono sommamente. A costui, perché egli non avesse forse a cercare da altro maestro dove agiatamente collocare le figure fatte da lui, ha la natura donato sí fattamente la scienzia della architettura che, senza avere bisogno di altrui, può e vale da sé solo et a queste et a quelle imagini da lui formate dare ono|rato luogo et ad esse conveniente; di maniera che egli meritamente debbe esser detto scultore unico, pittore sommo et eccellentissimo architettore, anzi della architettura vero maestro. E ben possiamo certo affermare che e' non errano punto coloro che lo chiamano divino, poiché divinamente ha egli in sé solo raccolte le tre piú lodevoli arti e le piú ingegnose che si truovino tra' mortali, e con esse ad esempio d'uno Idio infinitamente ci può giovare. E tanto basti per la disputa fatta dalle parti e per la nostra opinione.
E tornando oramai a 'l primo proposito, dico che, volendo per quanto si estendono le forze mie, trarre da la voracissima bocca del tempo i nomi degli scultori, pittori et architetti che da Cimabue in qua sono stati in Italia di qualche eccellenzia notabile, e desiderando che questa mia fatica sia non meno utile che io me la sia proposta piacevole, mi pare necessario, avanti che e' si venga a la istoria, fare sotto brevità una introduzzione a quelle tre arti nelle quali valsero coloro di chi io debbo scrivere le vite; a cagione che ogni gentile spirito intenda primieramente le cose piú notabili delle loro professioni, et appresso con piacere et utile maggiore possa conoscere apertamente in che e' fussero tra sé differenti, e di quanto ornamento e comodità alle patrie loro et a chiunque volse valersi de la industria e sapere di quelli.
Comincerommi dunque da l'architettura, come da la piú universale e piú necessaria et utile agli uomini, et al servizio et ornamento della quale sono l'altre due; e brevemente dimostrerrò la diversità delle pietre, le maniere o modi dello edificare con le loro proporzioni, et a che si conoschino le buone fabbriche e bene intese. Appresso, ragionando de la scultura, dirò come le statue si lavorino, la forma e la proporzione che si aspetta loro; e quali siano le buone sculture, | con tutti gli ammaestramenti piú segreti e piú necessarii. Ultimamente discorrendo de la pittura, dirò de 'l disegno, de' modi del colorire, de 'l perfettamente condurre le cose, de la qualità di esse pitture e di qualunche cosa che da questa dependa, de' musaici d'ogni sorte, de 'l niello, de gli smalti, de' lavori a la damaschina e finalmente poi de le stampe delle pitture. E cosí mi persuado che queste fatiche mie diletteranno coloro che non sono di questi esercizii, e diletteranno e gioveranno a chi ne ha fatto professione. Perché, oltra che nella introduzzione rivedranno i modi dello operare, e nelle vite di essi artefici impareranno dove siano l'opere loro et a conoscere agevolmente la perfezzione o imperfezzione di quelle e discernere tra maniera e maniera, e' potranno accorgersi ancora quanto meriti lode et onore chi con le virtú di sí nobili arti accompagna onesti costumi e bontà di vita; et accesi di quelle laudi che hanno conseguite i sí fatti, si alzeranno essi ancora a la vera gloria. Né si caverà poco frutto de la storia, vera guida e maestra delle nostre azzioni, leggendo la varia diversità di infiniti casi occorsi a gli artefici, qualche volta per colpa loro e molte altre della fortuna. Resterebbemi a fare scusa de lo avere alle volte usato qualche voce non ben toscana, de la qual cosa non vo' parlare, avendo avuto sempre piú cura di usare le voci et i vocaboli particulari e proprii delle nostre arti che i leggiadri o gli snelli della delicatezza degli scrittori. Siami lecito adunche usare nella propria lingua le proprie voci de' nostri artefici, e contentisi ognuno de la buona volontà mia, la quale si è mossa a fare questo effetto, non per insegnare ad altri, che non so per me, ma per desiderio di conservare almanco questa memoria degli artefici piú celebrati, poiché in tante decine di anni non ho saputo vedere | ancora chi n'abbia fatto molto ricordo. Con ciò sia che io ho piú tosto voluto con queste rozze fatiche mie, ombreggiando gli egregii fatti loro, renderli in qualche parte l'obligo che io tengo alle opere sue che mi sono state maestre ad imparare quel tanto che io so, che malignamente, vivendo in ozio, esser censore delle opere altrui, accusandole e riprendendole come i nostri spesso costumano. Ma egli è già tempo di venire a lo effetto.
FINE DEL PROEMIO